EUPALINO, O DELL'ARCHITETTURA

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Paul Valéry . 1921
arteideologia raccolta supplementi
made n.18 Dicembre 2019
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
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Dice Socrate a Fedro:
– Guardati attorno, ascolta.
– Non odo nulla e scorgo ben poco.
– Forse perché non sei morto abbastanza.

SOCRATE - I più, caro Fedro, ragionano su nozioni "bell'e fatte" ma non fatte da alcuno; e però, giacché nessuno ne è responsabile, servono male tutti.

FEDRO – Ma lui, ti dissi, s'era procurato chiarezze affatto personali...

SOCRATE – Le sole che possano essere universali...

FEDRO – Egli immaginava con passione la natura dei venti e delle acque e così la mobilità come la resistenza di questi fluidi; meditava la generazione delle tempeste e delle calme, la circolazione delle correnti tiepide e dei non mescolabili fiumi che scorrono misteriosamente puri fra gli argini bruni d'acqua salsa; considerava i capricci e i pentimenti delle brezze, le incertezze dei fondi, dei passi e degli estuari insidiosi…

SOCRATE – Per Dio! Come poteva farne una nave?

FEDRO – Credeva che una nave dovesse crearla in qualche modo la coscienza del mare, e quasi confezionarla l'onda medesima!...
Questa conoscenza consiste, in verità, nel sostituire il mare, nei nostri ragionamenti, colle azioni che esso compie su un corpo. Come se per noi si trattasse di trovare le azioni che si oppongono a quelle, e non avessimo più da fare se non con un equilibrio di poteri, gli uni e gli altri chiesti alla natura in cui si combattono invano: ma il nostro potere, in tal materia, si riduce a disporre di forze e di forme. Tridone mi diceva che immaginava il suo vascello sospeso al braccio d'una enorme bilancia, coll'altro braccio portante una massa d'acqua... (non so bene quello che significasse...); ma poiché il mare agitato – tutto si complica col moto – non s'accontenta di quest'equilibrio, egli cercava quale fosse la forma d’uno scafo colla carena press'a poco immutabile pel rollio della nave da un bordo all'altro, o il diverso danzare attorno a un qualche centro...
Così tracciava strane figure, dalle quali erano rese visibili a lui le segrete proprietà del galleggiante, senza che io potessi riconoscervi nulla di una nave.
Altre volte studiava la rotta e la velocità sperando e disperando d'imitare la perfezione del pesci più rapidi; e soprattutto lo interessavano quelli che nuotano agevolmente alla superficie e si trastullano colla schiuma tra due tuffi. Parlava, con l'abbondanza d'un poeta, di tonni e di marsuini, fra i cui salti e le libertà aveva per tanto tempo vissuto; ne cantava i grandi corpi lucenti come armi, i musi quasi schiacciati dalla massa dell'acqua opposta al loro cammino, i sommoli e le pinne – rigide come il ferro e come questo taglienti, ma sensibili agli sguscianti pensieri, e governati a capriccio dal timone verso i loro destini; – e, infine, la vivente sicurezza nelle tempeste. Sembrava ch'egli per sua virtù sentisse in qual modo le loro forme favorevoli riuscissero a condurre, dalla testa verso la coda e pel cammino più rapido, le acque che si trovano innanzi e che il procedere vuole rimesse indietro...
Cosa veramente ammirevole, o Socrate, che da un lato non s'abbia possibilità di corsa se nessun ostacolo l'impedisce, e tutti gli sforzi che tu produci si distruggano a vicenda, e tu non possa spingere in un verso senza respingerti nell'opposto, con eguale potenza.
Per altro, trovato l'ostacolo necessario, esso opera contro di te, assorbe le tue fatiche e ti concede parsimoniosamente lo spazio nel tempo.
La scelta d'una forma è però nell'atto sottile dell'artista: spetta alla forma prendere dall'ostacolo ciò che le occoire per procedere, e solo quanto impone meno vincoli al mobile.

SOCRATE – Ma non è possibile copiare il marsuino o il tonno, e predare direttamente la natura?

FEDRO – Così credevo anch'io, nella mia ingenuità. Tridone mi ha disingannato.

SOCRATE – Ma il marsuino non e una specie di nave?

FEDRO – Tutto varia colle dimensioni, che non corre un rapporto tanto semplice tra la forma e l'accrescimento, né a questo potrebbero reggere la solidità dei materiali e gli organi di direzione: se una qualità cresce in ragione aritmetica, le altre crescono in misura diversa.

SOCRATE – Tridone fece almeno qualche cosa di buono?

FEDRO – Alcune meraviglie sul mare. Altre senza dubbio naufragarono e nel fondo, corazzate di folade, aspettano il tempo che il mare si prosciughi.
Ma io ho visto la sua più pura figlia, la sottile Fraternità dalle forme sfuggenti, prendere il largo la sera che partì pel primo viaggio. Sulla guancia, scarlatta, si frangevano i baci sprizzanti dalla fluida strada, i triangoli tesi delle vele gonfie e turgide poggiavano l’anca all'ondata...

SOCRATE – O Vita!... per me le vele nere e flosce del vascello carico di sacerdoti, che tornando faticosamente da Delo, e trascinandosi a remi...

FEDRO – Come mal sopporti di rivivere la tua bella vita!

SOCRATE – Fedro, mio pallido Fedro, Ombra sorella della mia Ombra, i miei rimpianti sarebbero infiniti se avessero qualche sostanza da lavorare, e se al loro esercizio non mancasse la carne! Cominciano a incrudelire e non si compiono, si disegnano ma non si possono colorare... V'è qualcosa che sia più vana dell’ombra d'un savio? 

FEDRO – Un savio.

SOCRATE – Ahimé! un savio che non lascia di sé se non il parlatore che fu e diverse parole immortalmente abbandonate...
Che feci mai dando a credere al resto degli umani ch'io la sapevo più lunga di loro sulle materie dei più accesi dubbi? Il segreto di farlo credere consiste in una morte condotta così bene e ornata d'una tale ingiustizia e circondata di tali amicizie da oscurare il sole e turbare la natura: nulla è più temibile quanto il farne una specie di capolavoro... La vita non può difendersi contro queste immortali agonie e, ingenua, immagina fatalmente che il più bello della tragedia cominci dopo l'ultima parola dell'ultimo verso!... I più profondi sguardi dell'uomo danno nel vuoto, convergono di là dal Tutto.
Ahimé, ahimé! La verità e la sincerità ch'io usavo erano molto più menzognere dei miti e delle parole illuminate: insegnavo quel che inventavo... e facendo i figli con anime sedotte me ne sgravavo con perizia.                                        '

FEDRO – Tu sei duro con tutti noi.

SOCRATE – Se non m'aveste ascoltato, il mio orgoglio avrebbe cercato di sottomettere altrimenti a sé i vostri pensieri... Avrei costruito, cantato...
O perdita pensosa dei miei giorni: quale artista ho fatto perire!... quali cose ho sdegnato, ma quali cose ho figliato!... Io mi sento, contro me, il Giudice dei miei Inferni spirituali, e mentre la facilità dei miei detti famosi mi perseguita e mi affligge, ecco ch'io suscito per Eumenide le mie azioni che non furono, le mie opere che non nacquero; assenze clamorose pari a delitti vaghi ed enormi; assassinî, le cui vittime sono purtroppo cose imperiture!...

FEDRO - Consolati, giacché più le rimpiangeresti se le avessi generate! Nulla, sembra, è cosi bello e nulla amaramente ci rimorde come le occasioni mancate!
Ma se le abbiamo perdute, non è forse perché noi non le potevamo cogliere senza turbare il corso del mondo?

SOCRATE – Questo appunto vorremmo!... Quale anima esiterebbe a sconvolgere l'Universo se le riuscisse d'essere un poco più se stessa? Tu sai che a tutto il resto non consentiamo se non il diritto d'esserci conveniente! Vogliamo esattissimamente che i Cieli innumerevoli, e la terra e il mare, e le città, e gli uomini e le donne particolarmente, colle loro anime e le forze e le grazie, e gli animali come le piante; – ingenuamente noi vogliamo che tutti gli Dei insieme, e ciascuno secondo la bellezza che si adatta al nostro desiderio o secondo la potenza ch'egli apporta alla nostra debolezza, non siano se non gli abbellimenti, gli alimenti, i sostegni, i soccorsi, le luci, gli schiavi, i tesori, i baluardi e le delizie del nostro solo individuo. Come se la sola nostra fiamma, nel suo vivere assoluto e brevissimo, potesse consumare tutto ciò che fu, tutto ciò che è e tutto ciò che sarà. Scocchi dalla fiamma la scintilla unica, già una volta apparsa, per illuminare la gioia e il sapere, nell'essere che anima e divora!...
Noi crediamo che tutte le cose e l'opulenza del Tempo non siano che una boccata per la nostra bocca; e non possiamo pensare il contrario.

FEDRO – Tu mi stordisci e mi costerni.

SOCRATE - Tu non sai ciò che avrei potuto fare, e ch'io stesso riconosco solo ora.

FEDRO – Ti confesso che l’ombra di disperazione da cui sei assalito e i tentati rimorsi che par si contendano il tuo viso fanno di me un fantasma dello stupore.
Se altri ti udisse!

SOCRATE - Credi che non mi comprenderebbe?

FEDRO - Quasi tutti hanno qui troppa vanità della vita trascorsa: perfino gli scellerati ostentano la loro abominevole gloria: nessuno vuol riconoscere d'aver sbagliato. E tu, Socrate, dal nome purissimo che ancora incute rispetta alle invidiose larve, faresti sì tristi confidenze per domandare ad essi commiserazione e disprezzo?

SOCRATE – Ma non sarebbe come continuare ad essere Socrate?

FEDRO – Non bisogna voler ricominciare... non riesce due volte.

SOCRATE – Non essere più amaro!

FEDRO – Ti confesso che le tue parole hanno ferito un poco la mia amicizia. Tu comprendi che se ti abbassi da te medesimo, se deprimi Socrate, il Fedro che a lui s'è dato con tanto amore si vede ridotto al colmo della sciocchezza e della più cieca semplicità!

SOCRATE – Ahimé, così vuole il nostro stato, ma mi voglio provare a ricavarne qualche cosa.
Dimmi, non credi che dobbiamo, in quest'immenso tempo che la morte
concede, giudicare noi stessi e di nuovo giudicarci infaticabilmente, correggendo, invocando nuove ragioni agli avvenimenti accaduti: cercando, insomma, di difenderci colle illusioni dall'inesistenza, come fanno i vivi che si devono difendere contro l’esistenza? > 

Il lavoro di Erostrato
FEDROChe cosa vuoi dunque dipingere sul nulla?

SOCRATE – L'Anti-Socrate.

FEDRO – Ne immagino più d'uno: Socrate ha parecchi contrari.

SOCRATE – Sarà, quindi... il costruttore.

FEDRO – Bene, l'Anti-Fedro l'ascolta.

SOCRATE – O nella morte coeterno, amico senza difetti e diamante di sincerità, ecco:
Temo che non invano cercai questo Dio, in tutta la mia vita tentando di scoprirlo come di seguirlo attraverso i soli pensieri, richiedendolo al sentimento variabilissimo ed ignobilissimo del giusto e dell'ingiusto, e urgendolo perché si arrendesse al consiglio della più raffinata dialettica. Il Dio che così troviamo non è che parola nata da parola, e ridiventa parola giacché la risposta che ci facciamo certo non è mai altro se non la domanda stessa, e ogni domanda dello spirito non è, e non può essere, che un'ingenuità. Negli atti, invece, e nella combinazione degli atti, dobbiamo trovare il sentimento più immediato della presenza del divino e il migliore impiego di quella parte delle nostre forze ch'è inutile alla vita e sembra destinata a perseguire un oggetto indefinibile, infinitamente superiore a noi.
Se dunque l'universo è l'effetto d'un atto e questo è l’effetto d'un Essere, d'un bisogno, d'un pensiero, d'una scienza e d'una potenza propri di quest'Essere, soltanto coll'atto puoi raggiungere il gran disegno e proporti l'imitazione di ciò che ha fatto tutte le cose. E come mettersi, così, nel modo più naturale, all'istesso posto del Dio.
Ora, fra tutti, l'atto più complete è quello del costruire. Un'opera richiede amore, meditazione, obbedienza al tuo più bel pensiero, invenzione di leggi pel tramite della tua anima, e molte altre cose che da te, ignaro di possederle, essa meravigliosamente trae. L’opera deriva dal più profondo della tua vita, senza tuttavia confondersi con te; e se di pensiero fosse dotata presentirebbe la tua esistenza, ma non perverrebbe mai a stabilirla e a concepirla chiaramente. Tu saresti per essa simile a un Dio...
Vediamo dunque questo grande atto del costruire. Considera, Fedro, che il Demiurgo, allorquando si diede a fare il mondo, partì dalla confusione del Caos. Tutto l'informe, si trovava innanzi a lui; ed in quell'abisso non vi era pugno di materia che le sue mani potessero raccogliere e non fosse, anche, infinitamente impura e composta d'infinite sostanze.
Assalì coraggiosamente l'orrendo miscuglio del secco e dell'umido, del duro col molle, della luce colle tenebre, costituenti il Caos che insinuava il disordine sin nell'infime particelle. Sciolse il fango vagamente radioso, dove nulla era puro, e tutte l'energie erano stemperate al punto che il passato e l'avvenire, l’accidentale e l’essenziale, il durevole e l’effimero, la vicinanza e la lontananza, il moto ed il riposo, il leggero col grave, si trovavano confusi, com'è del vino coll’acqua che compongono un calice. I nostri sapienti cercano sempre di avvicinare i loro spiriti a questo stato... Diversamente agiva il grande Formatore: nemico delle similitudini e delle nascoste identità che ci entusiasmiamo a sorprendere, egli organizzava l’ineguale. Mettendo mano nella pasta del mondo, vi fece cernita d'atomi, divise il caldo dal freddo e la sera dal mattino, ricacciò quasi tutto il fuoco nelle cavità sotterranee, sospese i grappoli di ghiaccio alla pergola dell'aurora, sotto le curvature di vôlta dell'eterno Etere. Per lui l'estensione venne distinta dal movimento, la notte dal giorno; e nel suo furore di disgiungere tutto, fendé i primi animali, ch'egli aveva appena dissociato dalle piante, in maschio ed in femmina. Infine, avendo puranche districato ciò che più era misto nel disordine originale – la materia collo spirito – innalzò al sommo dell'empireo, alla cima inaccessibile della Storia, le masse misteriose che nella fatale e muta discesa all'imo fondo dell'abisso, generano e misurano il Tempo; espresse dal fango i mari scintillanti e le acque pure, ridondò le montagne e distribuì in belle isole quant’era rimasto di concreto... Così egli fece tutte le cose e, da un resto di fango, gli uomini.
Ma il costruttore che ora mostro trova innanzi a sé, quale caos e materia primitiva, precisamente l'ordine del mondo che il Demiurgo trasse dal disordine originario. La Natura è formata e gli elementi son distinti, ma qualcosa ingiunge a lui di considerare l'opera incompiuta, la quale dev'essere riplasmata e rimossa perché soddisfi più specialmente l'uomo; così egli assume come origine del suo atto proprio il punto stesso in cui il dio s'era fermato. All'inizio, egli si disse, era ciò che è: le montagne, le foreste, gli strati, i filoni, l'argilla rossa, la sabbia bionda, la pietra bianca da calce. Erano anche le braccia muscolose degli uomini, la potenza massiccia dei bufali e dei buoi; ma vi erano cofani e granai di tiranni intelligenti e di cittadini smisuratamente arricchiti coi negozi. Vi erano infine pontefici che s'auguravano di trovar casa al loro dio, e re di così vasta potenza da non poter desiderare altro che un'impareggiabile tomba, e repubbliche sognanti mura inespugnabili, e deboli arconti, molto teneri cogli attori e coi musici, smaniosi di far costruire, dalle casse del fisco, teatri sonorissimi.
Certo non bisogna che gli dei restino senza tetto e le anime senza spettacoli; non bisogna che i massi di marmo muoiano sotterra componendovi impenetrabili e solide notti, che i cedri e i cipressi si acconcino a finire in fiamma od in putredine, mentre si possono trasformare in travi odorose e in mobili lucenti. E neppure bisogna che l'oro dei ricchi pigramente dorma un greve sonno nelle urne e nelle tenebre del forziere. Questo metallo cosi pesante, associato ad una fantasia, assume le più attive virtù dello spirito e ne ha l'inquieta natura. La sua essenza è di fuggire, si scambia in tutte le cose e pur non ne è mutato, solleva blocchi di pietra, perfora montagne, devia fiumi, apre porte di fortezze e cuori segretissimi, incatena gli uomini, veste e sveste le donne con miracolosa prontezza. Dopo il pensiero, non v'è agente più astratto dell'oro; ma mentre il pensiero non cambia e non fascia se non immagini, l'oro eccita e favorisce la reciproca trasmutazione di tutte le cose reali, ancorché esso resti incorruttibile e puro nel passare per tutte le mani, e nulla crei il suo solo contatto con le braccia, coi progetti e le più varie sostanze.
– Eccomi, disse il Costruttore, io sono l'alto. Voi siete la materia, siete la forza, siete il desiderio; ma siete divisi, ché un'industria ignota vi ha isolate, preparandovi secondo i suoi mezzi. Ora avvenga il reciproco, che già il Demiurgo perseguì disegni non concernenti le sue creature; e non si preoccupò de' pensieri i quali dovevano nascere da quella stessa separazione che si divertì o meglio si annoiò a fare; e vi diede il necessario per vivere, come anche per godere di moltissime cose, sebbene non generalmente di quelle che precisamente avreste voluto.
Venuto dopo di lui, io son colui che concepisce quel che voi volete, con un poco più di coerenza e di genio di quanto voi non facciate; vi costerò senza dubbio carissimo, ma alla fine tutti ne avranno guadagnato.
Io sbaglierò talvolta e vedremo qualche rovina, ma che importa, se sempre, e con vantaggio, un'opera mancata può considerarsi come un passo che ci avvicina alla suprema bellezza?

FEDRO – Felici gli uomini che tu sia un architetto morto.

SOCRATE - Bisogna ch'io taccia, Fedro? Tu non saprai quali templi, quali teatri avrei concepito, nel puro stile socratico!...
Stavo per farti pensare come avrei condotto la mia opera, spiegando dapprima tutti i problemi e sviluppando un metodo senza lacune. Dove? perche? per chi? a quale fine? di qual grandezza? Circuendo sempre più alto il mio spirito, determinavo con rigore l’operazione di trasformare una cava e una foresta in un edifizio ed in equilibri magnifici; esponevo il mio progetto tenendo conto dell'intenzione degli uomini che mi pagano, delle località, delle luci, delle ombre e dei venti, scegliendo il luogo per area, esposizione, accessi, terre confinanti e terminanti e natura profonda del sottosuolo...
Poi con materiali grezzi stavo per comporre i miei oggetti intesi alla vita e alla gioia della razza vermiglia... oggetti preziosissimi pel corpo e deliziosi per l'anima, che persino il Tempo avrebbe trovato cosi duro e così difficile digerire, da non poterli ridurre se non a colpi di secolo. Ed ancora, rivestiti d'una seconda bellezza, sovr'essi una doratura morbida, una maestà sacra, una grazia di paragoni nascenti e di arcane tenerezze composta dal tempo...
Ma non saprai più nulla: tu non puoi concepire che l'antico Socrate, e la tua Ombra consueta...

FEDRO – Fedele, Socrate, fedele.

SOCRATE – Allora bisogna seguirmi, e mutare se io muto.

FEDRO - Ma vuoi dunque tu nell'eternità rievocare tutte le parole che ti fecero immortale?

SOCRATE – Laggiù, immortale; relativamente ai mortali!...
Ma qui... Non v'è qui, e tutto ciò che abbiamo detto può essere il giuoco naturale del silenzio di questi inferni, come la fantasia di qualche retore dell'altro mondo che ci avesse scambiato per marionette!

FEDRO – In ciò rigorosamente consiste l'immortalità.
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